Arturo Zorzi – L’ultima notte non si sentiva più una mosca volare

Poi i tedeschi hanno ucciso due cugine; si sono alzate presto per andare a messa: era stata piazzata una bomba sulla stradina che portava al gabinetto e sono saltate in aria…

Sono Zorzi Arturo e sono nato a Cartura il sette febbraio 1914; mio padre era Giuseppe e la mamma Maria Valandro. Avevo quattro fratelli e quattro sorelle. Quando è scoppiata la guerra, c’è stato l’annuncio di Mussolini: aveva parlato e tutti erano in piazza a Padova. Ho sentito tutta la gente che era corsa in città ed io l’ho saputo così, da loro. Ho pensato: “Chissà cosa capiterà adesso!”. Per mia fortuna sono rimasto a casa dal militare perché ero il terzo fratello. Però nel ’34, quando era scoppiata la guerra d’Africa, avevano chiamato anche me. Sono stato via quattro mesi e poi ci hanno mandati a casa. Sempre in borghese. Quando c’è stato l’annuncio sembrava che tutti volessero la guerra, anche perché il Duce non faceva pagare tasse alle famiglie numerose e poi fabbricava case per gli operai e asili per i preti. Qui vicino ce ne sono tante… La gente gli si era così affezionata. Le donne prendevano il premio quando partorivano. Alla gente sembrava di andare chissà dove, invece poi sappiamo che conseguenze ha portato. Si figuri mia madre: eravamo nove fratelli; da mio padre, morto nella Grande guerra, aveva avuto dieci figli, ma mio fratello più giovane è morto di tetano a diciotto anni. È morto mentre mio padre era in guerra e l’hanno seppellito senza avvisarlo. Io non ho conosciuto mio fratello: aveva quattordici anni più di me.

A quel tempo tra le persone più in vista qui in paese c’era il dottor Mandruzzato che poi è diventato podestà: non era cattivo. In tempo di guerra c’è stato invece Gentilini, da Conselve, il padrone dei mulini; c’era anche il podestà Chiodetto, ma era delle Carrare: era il peggiore. Ricordo che allora ascoltavamo la radio solo nelle osterie. Io ne frequentavo una a Ponte di Riva che ora non c’è più. Ci andavo sempre. Andavo anche a messa lì. Per Cartura avevo tre chilometri, qui ne avevo uno e così si faceva praticamente tutto all’abbazia, a Carrara Santo Stefano. Anche in osteria, mentre dicevano il giornale-radio, bisognava togliersi il cappello ed alzarsi in piedi, sennò Chiodetto, il podestà, creava guai. Mandruzzato, Gentilini e Chiodetto erano i più noti. Poi c’erano Buzzaccarini – era una persona buona – e c’era l’ingegner Gosetti. Gosetti ha dilapidato tutto per il partito fascista a cui era attaccato tanto. Era bravissimo, però, un galantuomo e una persona cosciente. Una volta mia sorella era ammalata e il segretario comunale non voleva firmarle le ricette: è arrivato lui a comandare che firmassero tutto. Mia sorella aveva fatto una pleure allora, ma il tre febbraio di quest’anno ha compiuto novant’anni. I parroci, invece, erano molto contrari. All’inizio i fascisti se la prendevano con loro. Qui c’era don Sartori: ha fatto tante battaglie quando quelli del partito comunista facevano comizi in piazza, dopo la guerra. Ma era contrario anche ai fascisti, però, e loro avevano paura di lui. Speravano anche loro che la guerra finisse presto.

Durante la seconda guerra avevo un sacco di fratelli via; alcuni sono tornati dopo sette anni ed uno, invece, si era dato alla macchia. Un altro è stato esonerato perché lavorava in fabbrica bellica. Questa era la situazione in casa. All’inizio era tutto rose e fiori, dopo si è vista la disfatta. Io ho avuto i tedeschi in casa per quattro mesi; si erano presi una delle stanze in alto. Abitavamo in un casone. Avevamo anche una piccola stalla per tenerci qualche bestia e un po’ di terra qui attorno; era in affitto, però. I tedeschi si sono presi la stanza ed il portico per i loro due cavalli. Stavano qui giorno e notte senza far niente. Si erano fatti il rifugio qui davanti; quando sentivano gli aerei, correvano dentro a questo rifugio e sparavano col fucile. Non ne hanno mai preso nessuno.

Alla fine della guerra, con l’arrivo degli americani, avevano molta paura; avevano preso tutti gli uomini per scavare fossati anticarro e bloccare i carri armati. Alla sera pattugliavano; c’era il coprifuoco dalle nove alle otto di mattina. Stavano attenti che nessuno tagliasse i fili di comunicazione. Dopo Montecassino, i due che stavano qui erano spaventatissimi; uno era austriaco e l’altro era proprio tedesco; l’austriaco aveva paura che passassero il Po. Poi sono andati via, ma si sono comportati benissimo: mi hanno perfino arato la terra coi loro cavalli. Però una volta, il giorno di S. Martino, siamo andati a prendere le castagne. Eravamo qui ed è arrivato un mio amico; passa una pattuglia tedesca e lui entra. Elementi di quella pattuglia andavano sempre a casa del mio amico perché aveva quattro sorelle e, quando sono andati via, lui li ha accompagnati in strada, però aveva ancora in mano un coltellino che stava usando prima. Quando lui è venuto dentro i due tedeschi volevano portarlo in Germania, al comando.

Per fortuna nella casa davanti c’era una coppia di sfollati e lei era austriaca. Siamo andati a chiamarla e ha spiegato tutto. Allora l’hanno cacciato via e lui non è più tornato fino alla fine della guerra: avevano il terrore del coltello. A parte questo, però, non hanno fatto altro. Dei tedeschi hanno invece ucciso un impiegato a Ponte di Riva, scambiandolo per un altro. I due ultimi giorni ho avuto un bel po’ di paura perché sono arrivate quattro SS in bicicletta. Uno è entrato a chiedere un fiammifero per accendere la sigaretta. Torna in strada con gli altri, poi torna dentro di nuovo. Mi chiede quanti chilometri ci sono per Battaglia. Io ho detto la verità, ho detto che erano cinque chilometri; se avessi detto il falso ci avrebbero uccisi. Quando è uscito ha controllato sulla piantina per vedere se avevo detto il vero. Allora ho avuto proprio paura. Di qua ne sono passati tanti; qualche volta si sono fermati anche qui per dormire, però non hanno fatto cattiverie. A quei due che avevamo piaceva la polenta e pure il vino gli piaceva; mangiavo qui, loro avevano solo il fieno per i cavalli dal comando. Se no avevano panini di grasso di maiale.

A Cartura, in questo periodo, ci si doveva arrangiare per vivere. A seconda delle famiglie, c’era chi stava bene e chi, come noi, aveva poca terra e pativa. Mi ricordo che alla proclamazione della guerra hanno suonato tutte le campane di tutti i paesi ed allora ho cominciato ad avere paura perché prima sembrava che fosse tutto bello, e poi… Il venticinque luglio del ’43 si sperava che la guerra fosse finita, invece Badoglio ha proseguito fino all’armistizio dell’otto settembre, con la resa incondizionata.

Nei paesi qui attorno, quando è successo, i fascisti erano diventati agnelli perché si aspettavano di essere disarmati. Invece poi Graziani ha formato l’esercito della Repubblica di Salò. Allora ne hanno fatte di brutte: andavano per le case a portare via la gente. Qui, però, non è successo nulla di tutto questo. Qui c’era un repubblichino che era stato anche nella guerra di Spagna; a lui, dopo la Liberazione, hanno bruciato solo un boschetto che aveva. In zona c’erano partigiani; ma pochi e facevano azioni discutibili: quelli veri erano in montagna, questi invece andavano per le case e portavano via le cose; qui vicino sono anche andati una sera a fare una rapina.

Non li conoscevo, però non erano né tedeschi né repubblichini: quindi erano partigiani. Ce la siamo cavata bene anche coi bombardamenti, perché hanno sempre sbagliato il ponte. Volevano farlo saltare, però qualcuno li ha messi in guardia che se minavano il ponte facevano saltare anche noi. Durante la ritirata, a Valsanzibio, i partigiani sparavano alle gomme dei mezzi della colonna in ritirata. I tedeschi hanno trucidato una famiglia intera che non c’entrava niente e poi hanno incendiato la loro casa. I partigiani sapevano che l’avrebbero fatto: era meglio se li lasciavano andare. L’ultima notte non si sentiva più una mosca volare.

Io sono sempre stato qui durante la guerra: lavoravo la terra. Ero a casa solo io su cinque fratelli. Avevo cinque campi in affitto. Pagavo due quintali per tipo, cioè due di mais e due di grano. La terra era di Baldan, da Cornegliana. I suoi figli, ora, hanno venduto tutto. Si pagava in natura. Consegnavamo i prodotti in azienda; era da Padova questo qui. Il fattore, invece, era un filibustiere che mangiava i soldi del padrone. Qui c’erano pochi fittavoli: la maggioranza erano mezzadri. Il padrone era un tipo strano: si immagini che questo, prima di sposarsi, ha fatto una penitenza di vent’anni; andava a messa tutte le mattine e stava inginocchiato su un triangolo di legno così.

Il suo voto era dovuto al fatto che, figlio unico, avrebbe dovuto morire. Girava tanto in tutto il mondo ed aveva preso la sifilide. A trentasei anni si è ritirato in casa e andava a messa tutte le mattine. Alle undici e mezzo e alle sette di sera andava al rosario con la serva. Si è sposato a cinquantasei anni ed in quattro anni ha avuto quattro figli, ‘sto Baldan. Con tutti i soldi che aveva: per vent’anni! Comunque problemi di fame non ne abbiamo avuti. Male, però ci si riempiva la pancia. Poi avevamo le tessere, durante la guerra, ed andavamo a prendere la carne.

Noi eravamo produttori e veniva una guardia; ti lasciavano tanto a testa e la rimanenza a loro. Se si riusciva a raggirarli, però… Era l’annonaria. Comunque ti lasciavano anche roba per le bestie. Si seminava soprattutto frumento; roba di primo raccolto. Noi avevamo sempre parecchio da fare. Qui attorno c’era il mercato nero; lo faceva uno che stava qui vicino: si è fatto ricco con una botteghetta dove aveva un po’ di tutto. Le donne portavano le robe e lui vendeva. Scaricavano le robe di notte; venivano quelli da Bassano, coi cavalli, a caricare roba. Io avevo un sotterraneo con una botte da sette quintali per nascondere roba perché non ti lasciavano tanto.

C’è stato, durante la guerra, un episodio che mi ha particolarmente impressionato: è stato quando hanno ucciso quell’uomo a Ponte di Riva; era una persona a posto e avevamo lavorato insieme, da ragazzi, da un possidente qui vicino. L’hanno ucciso per sbaglio i repubblichini negli ultimi giorni mentre stava guardando gli aerei col cannocchiale. Quello che volevano uccidere, e che era con lui, era il segretario del comune di Carrara Santo Stefano: era il cursore. Lui è scappato disperato, dicendo: “Hanno ammazzato Santo Marano!”. Io l’ho visto.

Poi i tedeschi hanno ucciso due cugine; si sono alzate presto per andare a messa: era stata piazzata una bomba sulla stradina che portava al gabinetto e sono saltate in aria. Le hanno portate via senza nessuno, perché passavano sempre gli aerei e avevano paura. C’era “Pippo” che passava di notte. Era un aereo inglese che volava da solo e, dove vedeva luce, mitragliava. Una volta sono andato dalla mia fidanzata; eravamo nella stalla, col lume a carburo, ed abbiamo sentito un boato sulla strada per Pontemanco: avevano buttato una bomba. Lo spostamento d’aria ha spento il mio lume. Poi sono passato di lì venendo a casa e ho visto che avevano ucciso una donna.

Tratto da: I giorni della guerra. La vita quotidiana durante l’ultima guerra nel racconto degli abitanti di Cartura, 1996. Diego Pulliero – diego pulliero@libero.it

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